KRATOS: <<agli estremi confini eccoci giunti già della terra, in un deserto impervio tramite de la Scizia. Ed ora, Efesto, compier tu devi gli ordini che il padre a te commise: a queste rupi eccelse entro catene adamantine stringere quest'empio, in ceppi che non mai si frangano: ch'esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco padre d'ogni arte, t'involò, lo diede ai mortali. Ai Celesti ora la pena paghi di questa frodolenza, e apprenda a rispettar la signoria di Giove, a desister dal troppo amor degli uomini.>>
Questo è l'incipit di una tragedia tradizionalmente attribuita ad Eschilo, il "Prometeo Incatenato". Il Titano Prometeo, dopo aver rubato il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, viene incatenato ad una rupe da Efesto, Kratos e Bia sott'ordine di Zeus. I tre incatenatori tentano di ottenere un perdono da Prometeo, ma Prometeo non cede, forte della conoscenza d'un segreto che ha la portata di un complotto simile a quello di Zeus o di Crono. Ermes tenta di estorcere il segreto a Prometeo, non ci riesce, ma scopre questo segreto autonomamente, e Zeus, ormai non sapendo più che farsene di Prometeo, lo scaraventa nel Tartaro, a raggiungere gli altri Titani. Il segreto consisteva nel nuovo colpo di mano che un ipotetico figlio di Zeus, frutto della relazione con Teti, avrebbe assunto il potere tramite parricidio. Zeus risolve sventando il golpe semplicemente non giacendo con Teti. Le interpretazioni della tragedia eschiliana e del mito classico sono numerose. La linea tradizionale suggerisce un Prometeo testardo e sconfitto, che non ascolta la persuasione al perdono di Efesto e Kratos; per orgoglio minaccia Zeus, traditore dell'amicizia, di svelare il "segreto"; e infine viene confinato al Tartaro. E fu decisamente in brutta compagnia poiché i Titani esiliati lì coltivavano ancora sentimenti di rancore nei confronti di Prometeo poiché ai tempi della Titanomachia si schierò dalla parte di Zeus. Il primo traditore è dunque Prometeo: finalmente riceve la giusta punizione, la "tisis" [autorità] vince la "ubris" [tracotanza]. La figura di Prometeo è ritenuta particolarmente interessante per i romantici, che vi vedevano l'incarnazione mitologica dei propri ideali in una prospettiva più ampia di generale ribellione alla natura, di sete di conoscenza e di brama di potenza: Prometeo è l'eroe che tende all'infinito, che arde per la vita, l'ironico eroe di fronte alla malvagità e all'indifferenza della divinità ostile. L'eroe, piuttosto che piegarsi, si lascia morire. L'atteggiamento di specifica ribellione al dio è caratteristica fondamentale del movimento dello "Sturm und Drang" [tempesta e impeto], del quale i massimi esponenti sono Goethe e Schiller. Si propone in tal occasione, invece, un'altra interpretazione, forse meno ortodossa e con meno slanci romantici...
La tragedia di Eschilo è il quadro della repressione interclasse che si ripete costantemente nella storia. Ogni componente ha un suo significato: Zeus è la classe dominante e Prometeo, per quanto possa essere colto e scaltro e arguto, rappresenta la subalterna classe produttiva che si ribella alla dominante. Zeus si serve dunque dei suoi funzionari: dove Prometeo si è servito di Efèsto per lo strumento della sua ribellione, ecco che Zeus sfrutta il doppio taglio della lama dirigendo stavolta lo strumento-Efèsto a danno del ribelle, con la forgia delle "catene adamantine"; Bia è la forza operante, violenta e silenziosa che consegue gli scopi di Zeus al tacito silenzio militare; Ermes è chi pratica di ottenere segreti dal nemico per trovarne il punto debole e dunque un vantaggio nell'azione, la spia che lavora silente per chi domina...
Kratos è quantomai la figura più enigmatica nella tragedia. Verrebbe da dire che Kratos è l'arroganza abituata ad esercitare il potere, in realtà pilotata da l'"intenzione prima". Alcuni pareri considerano Kratos e Bia come tutori dell'ordine nel regno degli dei. Vi dico: la compassione che Kratos prova nei confronti di Prometeo è semplicemente un raggiro atto ad estorcere un pentimento, l'"abiura ultima" delle sue azioni, e una sconfessione. Questi non ha il benché minimo coinvolgimento sentimentale. Kratos agisce semplicemente per esplicare il volere di Zeus. Così Kratos a Leucò, nei "Dialoghi" del Pavese: "Ma tu sai cosa sono gli uomini? Miserabili cose che dovranno morire, più miserabili dei vermi o delle foglie dell'altr'anno che son morti ignorandolo. Loro invece lo sanno e lo dicono, e non smettono mai d'invocarci, di strapparci un favore o uno sguardo, di accenderci fuochi, proprio quei fuochi che han rubato dentro il cavo della canna. E con le donne, con le offerte, coi canti e le belle parole, hanno ottenuto che noialtri, gli immortali, che qualcuno di noi discendesse tra loro, li guardasse benigno, ne avesse figliuoli. Capisci il calcolo, l'astuzia miserabile e sfrenata? Ti persuadi perchè mi ci scaldo?'' Eccovi il disprezzo mostratoci da Kratos!
Un quadro riassuntivo è gradito. 1)Zeus è la classe dominante che si serve dell'ordine pubblico per lasciare il sistema inalterato. 2)Zeus dispone di: -Efèsto, cioè parte della classe subalterna che produce gli strumenti per mantenere l'ordine pubblico; -Bia, l'ordine pubblico violento ed irrazionale, al "gusto manganello"; -Ermes, l'ordine pubblico investigativo, lo spionaggio; -Kratos, la polizia politica interna che reprime il dissenso. 3)Prometeo è la classe subalterna e produttiva che, in quanto tale, contesta lo stabilishment oligarchico. Questo è insomma il quadro in cui si muovono tutte le forme di governo, dall'aristocrazia alla timocrazia - etimologicamente legate a Kratos/Potenza -, in modo più o meno articolato.
Chi agli albori creò il governo, cioè l'esercizio di potere, e di autorità qualora l'opinione non si confacesse al programma politico - per definizione volto ad avvantaggiare non la nazione intera ma particolari frange -, non si definì "duce", bensì un più malleabile "guida": "chi governa è il timoniere che porta la nave", come testimonia la stessa etimologia [dal latino gubernare, a sua volta derivato dal greco kybernán, "reggere il timone"]. Falsità che persiste a protrarsi ai giorni nostri. In questo quadro scandaloso si innestano le "teorie" di giustizia, diritto e legalità che sono alle basi di una convivenza civile ma che rimane comunque soggiogata da chi governa. Applicare criteri così agli antipodi con l'ordinamento politico implica l'introduzione di codici, leggi e provvedimenti per sedare chi potrebbe verificare un illecito, e implica l'instaurazione della polizia politica affinché sedi chi protesta contro il potere, rischiando la propria incolumità. L'abolizione del governo che necessariamente implica una sottomissione di una classe subalterna ad una dominante - il termine "classe" mi risulta il più appropriato - non è cosa semplice: bisogna che ogni componente della società abbia consapevolezza del proprio ruolo nell'ambito della collettività e pre/tendere ad un egualitarismo politico, materiale e morale tramite ridistribuzione, annullando le maggiori possibilità offerte da una più favorevole condizione di partenza.
"Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell'essere uguali, l'impiegato non più impiegato ["Storia di un impiegato"] scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la realtà della parola «collettivo» e della parola «potere»." [FdA]
"Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni" ["Nella mia ora di libertà", '73]
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